dell’Avv. Francesco Luongo Presidente Nazionale del Movimento Difesa del Cittadino
La tragedia di Genova, con il disastroso crollo del Viadotto Polcevera, addolora non solo per il dramma delle vittime, degli sfollati e di un’intera nazione che si scopre nel più tragico sottosviluppo infrastrutturale ma, soprattutto, per il senso di impotenza e di rabbia causato dalla coscienza della sua prevedibilità. Gran parte dei genovesi conoscevano le condizioni critiche del Ponte Morandi e, dalle prime indagini della Procura, emergono anche allerte formali e segnalazioni scritte trasmesse ad Autostrade per l’Italia da chi ci lavorava.

Come spesso accade in questi casi è d’uso recitare la formula di rito: “la Giustizia farà il suo corso” che sappiamo chiaramente lungo e faticoso. Resta il fatto che l’impressione suscitata nel Paese da questa sciagura è enorme e travalica il fatto in sé squarciando il velo su un’Italia che appare governata da un sistema in cui i controlli non ci sono. Che la burocrazia sia sempre stata forte con i deboli e debole con i forti è un dato di fatto storicamente provato, ma arrivare ad ignorare la palese realtà del logoramento e di cedimenti strutturali su un importante viadotto, chiudendo letteralmente gli occhi sull’assenza di interventi d’urgenza con la violazione delle più elementari regole a salvaguardia della pubblica incolumità è davvero troppo.
Le ragioni di tale criminale noncuranza sono tuttavia semplici e nascono dal nuovo rapporto tra istituzioni (ovvero la politica) e capitalismo relazionale sviluppatosi in Italia nella “narrazione” delle cosiddette privatizzazioni, anche note come “liberalizzazioni”, inaugurata il 2 giugno 1992 con la famosa minicrociera per banchieri, manager e rappresentanti di Confindustria, organizzata in Italia dalla British sul Royal Yacht “Britannia”. Lungi dal creare un sistema redditizio per le casse dello Stato, certo secondo logiche di mercato, ma anche di più elevati standard di qualità specifici e controllati, il sistema delle concessioni da parte della Pubblica Amministrazione si è trasformato nel nuovo luogo di intermediazione tra controllori (politica) e controllati (grandi imprese, banche e finanziarie). Sono circa 35mila le concessioni attive in Italia tra autostrade, idrocarburi, frequenze TV e telefonia, spiagge, rifiuti, dighe, riscossione tributi locali, gas, servizi idrici, acque minerali e termali, porti ed aeroporti. Ormai da vent’anni i cittadini subiscono tagli costanti ai servizi pubblici, sistematicamente accompagnati da generosi quanto indulgenti aumenti tariffari necessari agli “Utili” investiti solo in minima parte.
Un sistema truccato senza concorrenza ed uno stillicidio senza ritorno per gli utenti, che vede sullo sfondo affidamenti opachi senza gare, spesso “in house”, proroghe pluriennali ed assunzioni del personale dirette, senza concorsi o selezioni pubbliche, con nessun rispetto dei livelli di qualità stabiliti nelle “Carte dei servizi”, quando ci sono. È su questo terreno che da 11 anni si sta consumando uno scontro sempre più drammatico tra Associazioni dei consumatori, Governi e Regioni, di ogni colore, troppo impegnati a trattare “accordi, “convenzioni”, “rinnovi” e “proroghe” con imprese e multinazionali partecipate dall’alta finanza cui affidare lo sfruttamento di beni pubblici, preferibilmente da stipulare lontano da occhi indiscreti e poi “secretare” come i 17 dei 25 allegati alla concessione delle autostrade. Non è un caso che l’applicazione dell’art. 2, comma 461, della Legge 244/07, sulla tutela dei diritti dei cittadini con precisi obblighi di qualità, universalità ed economicità delle prestazioni oggetto dei contratti di servizio ed annessi controlli obbligatori proprio con le suddette Associazioni sia osteggiato e sabotato in tutti i modi ed a tutti i livelli dalla burocrazia. Neppure è un caso che i fondi annuali destinati dal MISE alle iniziative a favore dei consumatori (previsti dall’art. 148 della Legge 388/200) siano stati inspiegabilmente congelati dal precedente Governo nel 2016. Su questi fatti, che racchiudono in sé le contraddizioni di un Paese in cui l’economia langue come le tasche dei contribuenti sempre più indebitati e messi a rischio nella loro stessa incolumità, il nuovo Governo e tutti i Partiti sono chiamati a scegliere, senza più scuse e con chiarezza, da che parte stare.