Al momento stai visualizzando Famiglie e PMI di fronte al default.

L’inizio del nuovo anno ha segnato l’avvio dell’applicazione, da parte di tutte le banche, delle nuove regole europee in materia di classificazione delle (meglio conosciuto come “”). Una normativa introdotta dall’Autorità Bancaria Europea (EBA) con l’obiettivo di uniformare i comportamenti degli istituti di credito dei paesi dell’UE.

Diversamente dal passato inoltre non è più ammessa la compensazione tra le diverse posizioni creditizie o attive vantate nei confronti della banca per compensare lo stato di default. In sintesi, se esiste un finanziamento o un’esposizione che non è gestita correttamente e contemporaneamente esistono delle somme su un altro conto corrente che potrebbero compensarle, non è possibile tenerne conto per risanare il default. La valutazione deve essere fatta su ciascuna posizione. Come precisato dall’ABI (Associazione banche italiane), infatti «l’impresa non potrà più impiegare margini ancora disponibili su sue linee di credito per compensare gli inadempimenti in essere ed evitare la classificazione in default; la classificazione dell’impresa in stato di default, anche in relazione ad un solo finanziamento, comporta il passaggio in default di tutte le sue esposizioni nei confronti della banca», con il rischio di ripercussioni negative anche «su altre imprese ad essa economicamente collegate, esposte nei confronti del medesimo intermediario finanziario».

Infatti, una posizione che va in default con un istituto di credito porta in default tutte le esposizioni del debitore con quella banca: se ad esempio è in essere un finanziamento pagato in maniera irregolare, catalogato in default, questo porta in default anche il fido di conto corrente, un secondo mutuo e così via.

Da ultimo, se il debitore è titolare di più società e una di queste va in default, le altre società – diverse e collegate al debitore in stato di default – subiranno un effetto “contagio” e dovranno essere classificate a loro volta in default a prescindere dalla regolarità dei rapporti in essere.

Dal default si può uscire tenendo per 90 giorni, decorrenti dal momento in cui non sussistono più le condizioni che hanno portato alla dichiarazione di inadempienza, un comportamento corretto.

 

Ma cosa fare per evitare il default?

Innanzitutto occorre tenere sotto controllo l’andamento del proprio credito e in presenza di inadempimenti, prima di superare le soglie, temporali o di importo, è bene aprire un dialogo con la banca presso cui sono in essere i propri rapporti, per cercare di individuare eventuali soluzioni che consentano di evitare il passaggio a default.

Qualora si nutrano dubbi circa le segnalazioni è possibile rivolgersi alla Centrale Rischi di Banca d’Italia che offre un monitoraggio preciso e puntuale sulle posizioni a rischio. Tramite la Banca d’Italia è possibile verificare anche l’andamento di tutte le posizioni eventualmente garantite, poiché, per il principio del contagio, eventuali posizioni a cui sono state concesse fideiussioni dichiarate a sofferenza possono a loro volta contagiare chi le ha prestate trascinandolo in uno stato di default involontario.

La mancanza di conoscenza delle nuove regole e delle conseguenze della loro applicazione potrebbe rappresentare un grave problema, oltre che per i cittadini consumatori, anche per le piccole e medie imprese, già fortemente provate dalla pandemia e dai prolungati lock-down, che a seguito del passaggio in default si potrebbero veder negato l’accesso al credito magari necessario ad evitare la chiusura definitiva.

Proprio in ragione di tali criticità – segnalate a più riprese dalle varie categorie imprenditoriali – Bankitalia ha tenuto a precisare che resta comunque la possibilità per la banca di consentire sconfinamenti, e che “non vi è alcun automatismo tra la classificazione a default e la segnalazione a sofferenza in Centrale dei rischi. Pertanto non è vero che basta uno sconfinamento o un ritardo nei pagamenti per somme anche solo di 100 euro per dar automaticamente luogo a una segnalazione a sofferenza”. Rassicurazione che tuttavia non ha placato le paure di privati e aziende davanti alla possibilità di default, al punto che l’EBA, il 2 dicembre, dopo che il Group of Central Bank Governors and Heads of Supervision (GHOS), organismo di controllo del Comitato di Basilea, ha pubblicato un documento che prevede un approccio coordinato per mitigare i rischi dell’effetto Covid-19 sul sistema bancario globale), ha deciso di ripristinare, fino al prossimo 31 marzo, le linee guida sui prestiti con moratoria scadute il 30 settembre proprio per cercare di colmare le carenze di liquidità innescate dai nuovi lockdown.

In una nota, l’EBA scrive infatti che “dopo aver monitorato da vicino gli sviluppi della pandemia Covid-19 e, in particolare, l’impatto della seconda ondata Covid-19 e le relative restrizioni governative adottate in molti paesi dell’Ue, l’Autorità bancaria europea (EBA) ha deciso di riattivare le sue linee guida sulle moratorie legislative e non legislative. Questa riattivazione garantirà che anche i prestiti, che in precedenza non avevano beneficiato di moratorie di pagamento, possano ora beneficiarne. Il ruolo delle banche per garantire il flusso continuo di prestiti ai clienti rimane della massima importanza e con la riattivazione di queste linee guida, l’EBA riconosce le circostanze eccezionali della seconda ondata Covid-19″. Ma al contempo sottolinea che “le linee guida riviste dell’EBA, che si applicheranno fino al 31 marzo 2021, includono ulteriori salvaguardie contro il rischio di un aumento indebito delle perdite non riconosciute nel bilancio delle banche.

In sostanza, a causa del protrarsi dell’emergenza Covid, le banche devono continuare a fornire prestiti all’economia reale, purchè non vi siano ripercussioni sui loro bilanci: a tal fine l’EBA ha introdotto due nuovi vincoli per garantire che “il supporto fornito dalle moratorie sia limitato a colmare le carenze di liquidità innescate dai nuovi lockdown e che non vi sia alcun vincolo operativo alla continua disponibilità di credito” e i prestiti potranno godere di una moratoria sui pagamenti di soli nove mesi complessivi. La nota precisa, infatti, che “solo i prestiti sospesi, posticipati o ridotti in base a moratorie generali di pagamento non superiori a 9 mesi complessivi, comprese le sospensioni di pagamento precedentemente concesse, possono beneficiare dell’applicazione delle Linee Guida”. Inoltre le banche dovranno documentare alla propria autorità di vigilanza, attraverso piani di valutazione, che le esposizioni soggette a moratorie generali di pagamento non divengano inadempienze probabili.

Proroghe che permetteranno di evitare gli automatismi nella classificazione di inadempienza almeno fino al marzo 2021 e aumentare il margine di tolleranza verso imprese e privati in difficoltà e sofferenza, il cui numero – secondo le previsioni di settore – si pensa possa triplicare in ragione del presumibile protrarsi dello stato d’emergenza economico-sanitaria.

Resta quindi di fondamentale importanza, per privati e imprese, sia medio-piccole che grandi, conoscere nel dettaglio le nuove regole, cercando di rispettare con puntualità le scadenze di pagamento previste contrattualmente, così da non trovarsi in arretrato nel rimborso dei propri debiti verso le banche, anche per importi di modesta entità, e dunque evitare di vedersi classificati come inadempienti, cadendo in un default dalle conseguenze non solo stigmatizzanti dal punto di vista sociale ma addirittura senza ritorno dal lato lavorativo, laddove ciò dovesse comportare un’impossibilità di accesso a nuovi crediti e dunque, di disporre della liquidità necessaria ad affrontare la crisi e a far ripartire la propria azienda.

Basti pensare che, sulla base dei dati di recente pubblicati da Ministero dello Sviluppo Economico e Mediocredito Centrale (MCC), sono complessivamente 1.434.077 le richieste pervenute al Fondo di Garanzia nel periodo dal 17 marzo al 7 dicembre 2020 per ottenere le garanzie ai finanziamenti in favore di imprese, artigiani, autonomi e professionisti, per un importo complessivo di oltre 114,4 miliardi di euro e che, dall’indagine che ha coinvolto oltre 600 PMI, quasi il 90% ha fermato le proprie attività parzialmente o totalmente. Inoltre, secondo la stima fatta da Confesercenti, più di 350.000 piccole e medie imprese del commercio, del turismo e dei servizi, dell’artigianato e della piccola industria, rischiano il default con l’entrata in vigore delle nuove regole, con tutto ciò che ne consegue anche in termini occupazionali.

Lo stop a moltissimi settori causati dalla pandemia, quindi, potrebbe innescare diffusi default a cascata nell’economia reale, specialmente fra le famiglie e imprese già indebitate.

Significative appaiono pertanto le parole di Salvo Politino, vicepresidente di Unimpresa, secondo cui “Alla base delle scelte del regolatore europeo c’era la necessità di armonizzare gli ordinamenti bancari, in effetti assai diversi fra loro, tuttavia, la ricerca ossessiva di un cosiddetto level playing field ovvero di un campo di gioco livellato in tutta Europa corre il rischio di penalizzare in prima battuta le nostre banche e, a catena, la clientela degli stessi istituti. Quella che, sulla carta, nasce come una misura di equità si trasforma in una punizione severa per il nostro Paese e arriva in un momento difficilissimo per la nostra economia, tra le piu’ piegate dagli effetti della pandemia da Covid”.